Prima lettera a Timoteo 3:1-16

3  Questa dichiarazione è degna di fiducia: se un uomo aspira a essere sorvegliante,+ desidera un’opera eccellente.  Il sorvegliante deve perciò essere irreprensibile,+ marito di una sola moglie, moderato, assennato,+ ordinato, ospitale,+ capace di insegnare,+  non ubriacone,+ non violento, ma ragionevole,+ non litigioso,+ non attaccato al denaro,*+  un uomo che diriga la propria casa in maniera eccellente e che abbia figli sottomessi e rispettosi*+  (dopotutto, se un uomo non sa dirigere la propria casa, come potrà aver cura della congregazione di Dio?);  non dev’essere uno convertito di recente,+ perché non diventi orgoglioso e riceva la stessa condanna emessa contro il Diavolo.  Deve inoltre godere di una buona reputazione* agli occhi di quelli di fuori,+ perché non cada in discredito* e in una trappola del Diavolo.  Allo stesso modo, i servitori di ministero+ devono essere seri, non doppi nel parlare, non smodati bevitori di vino, non avidi di guadagni disonesti,+  ma uomini che custodiscano il sacro segreto della fede con una coscienza pura.+ 10  Inoltre, sia prima provata la loro idoneità e poi, se sono liberi da accuse, servano come ministri.+ 11  Allo stesso modo, le donne devono essere serie, non calunniatrici,+ moderate,* fedeli in ogni cosa.+ 12  I servitori di ministero siano mariti di una sola moglie e dirigano in maniera eccellente i figli e la propria casa. 13  Infatti gli uomini che servono in maniera eccellente si guadagnano una reputazione eccellente e grande libertà di parola nella fede che è in Cristo Gesù. 14  Benché io speri di venire presto da te, ti scrivo queste cose 15  perché, nel caso io tardassi, tu sappia come devi comportarti nella casa di Dio,+ che è la congregazione dell’Iddio vivente, colonna e sostegno della verità. 16  Effettivamente il sacro segreto di questa devozione a Dio è senza dubbio grande: ‘Fu reso manifesto nella carne,+ fu dichiarato giusto nello spirito,+ apparve ad angeli,+ fu predicato fra le nazioni,+ fu creduto nel mondo,+ fu ricevuto in cielo nella gloria’.+

Note in calce

O “non amante del denaro”.
O “in sottomissione con ogni serietà”.
O “biasimo”.
O “eccellente testimonianza”.
O “di abitudini moderate”.

Approfondimenti

Non che siamo i padroni della vostra fede Paolo era convinto che i suoi fratelli, essendo cristiani fedeli, volevano fare ciò che è giusto. Se riuscivano a rimanere saldi non era grazie a Paolo o a qualche altro essere umano, ma grazie alla loro fede. Il verbo greco reso “siamo i padroni” (kyrièuo) può trasmettere l’idea di dominare altri o di tiranneggiare. Pietro usa un verbo affine quando esorta gli anziani a non ‘spadroneggiare su quelli che sono l’eredità di Dio’ (1Pt 5:2, 3). Paolo si rendeva conto che l’autorità che aveva quale apostolo non gli dava il diritto di esercitarla in maniera dispotica. Inoltre, aggiungendo siamo invece compagni d’opera per la vostra gioia, dimostra che non pensava che lui e i suoi collaboratori fossero superiori agli altri; riteneva piuttosto che fossero servitori che facevano tutto il possibile per aiutare i corinti ad adorare Geova con gioia.

Questa dichiarazione è degna di fiducia Alcuni ritengono che questa frase si riferisca a quello che Paolo ha appena menzionato (1Tm 2:15), ma l’espressione “questa dichiarazione” si applica meglio a quello che segue. A quanto pare Paolo vuole indicare che ciò che sta per dire a proposito dell’aspirare a essere sorvegliante è particolarmente importante e merita attenzione.

aspira Il verbo greco usato qui significa alla lettera “protendersi verso qualcosa”; trasmette l’idea che un uomo deve impegnarsi con determinazione per essere idoneo a diventare sorvegliante. Nei versetti che seguono (vv. 2-10, 12, 13) Paolo elenca dei requisiti che uomini imperfetti possono soddisfare se si impegnano al meglio delle loro possibilità. Ovviamente questi requisiti sono collegati a qualità di cui hanno bisogno tutti i cristiani, non solo gli uomini che hanno incarichi. (Confronta Ro 12:3, 18; Flp 4:5; 1Tm 3:11; Tit 2:3-5; Eb 13:5; 1Pt 2:12; 4:9.)

a essere sorvegliante Un sorvegliante ha la responsabilità di prendersi cura dei compagni di fede che gli sono stati affidati e di proteggerli. (Vedi Glossario, “sorvegliante”.) Dovrebbe pertanto essere un uomo spiritualmente maturo, che soddisfa i requisiti elencati da Paolo nei versetti successivi. Il termine greco qui reso “essere sorvegliante” può anche essere tradotto “incarico di sorveglianza” (At 1:20); questo però non significa che un sorvegliante ricopra una posizione che lo eleva al di sopra dei fratelli e delle sorelle. Ai cristiani di Corinto, infatti, Paolo disse: “Non che siamo i padroni della vostra fede; siamo invece compagni d’opera per la vostra gioia” (2Co 1:24 e approfondimento; 1Pt 5:1-3).

opera eccellente In greco questa espressione è composta dall’aggettivo kalòs (“buono”, “bello”) e dal sostantivo èrgon (“opera”, “lavoro”). Un commentario dice che “l’aggettivo esprime eccellenza, mentre il sostantivo sottolinea la difficoltà del lavoro svolto”. L’opera di un sorvegliante è quindi eccellente, utile, ma resta pur sempre un’opera, un lavoro. Questo significa che un sorvegliante deve essere altruista e disposto a fare sacrifici e a impegnarsi alacremente per il bene degli altri.

Siate sempre ospitali L’espressione greca che compare qui potrebbe essere resa alla lettera “inseguite l’ospitalità”, “correte dietro all’ospitalità”. Paolo pertanto incoraggia i cristiani a prendere l’iniziativa nel mostrare ospitalità, a farlo regolarmente e non solo quando è loro richiesto. L’espressione originale contiene la parola filoxenìa, che alla lettera significa “amore (affetto) per gli estranei” e che di solito viene tradotta “ospitalità”. Da questo si comprende che l’ospitalità non va limitata a una stretta cerchia di amici. Paolo usa la stessa parola in Eb 13:2, probabilmente alludendo agli avvenimenti dei capitoli 18 e 19 di Genesi riguardanti Abraamo e Lot. Accogliendo degli estranei, questi uomini senza saperlo ospitarono angeli. In Gen 18:1-8 viene detto che Abraamo corse e si diede molto da fare per prendersi cura dei suoi ospiti. L’aggettivo affine filòxenos ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane, sempre in contesti in cui viene incoraggiata l’ospitalità (1Tm 3:2; Tit 1:8; 1Pt 4:9).

sorveglianti Qui Paolo usa il plurale del termine greco epìskopos per indicare quelli che avevano incarichi di responsabilità nella congregazione di Filippi. (Confronta At 20:28.) In un’altra sua lettera menziona il “corpo degli anziani” che aveva affidato a Timoteo un incarico speciale (1Tm 4:14). Dal momento che Paolo non si riferisce a una persona in particolare come se questa fosse l’unico sorvegliante, è chiaro che in quelle congregazioni ce n’era più di uno. Questo ci permette di capire il modo in cui erano organizzate le congregazioni del I secolo. Nelle Scritture Greche Cristiane le parole “sorvegliante” e “anziano” vengono usate scambievolmente, il che vuol dire che indicano lo stesso ruolo (At 20:17, 28; Tit 1:5, 7; confronta 1Pt 5:1, 2). In ogni congregazione il numero dei sorveglianti poteva variare in base a quanti uomini erano idonei, o spiritualmente maturi, per servire come “anziani” (At 14:23; vedi approfondimenti ad At 20:17, 28).

sorveglianti Il termine greco per “sorvegliante”, epìskopos, è affine al verbo episkopèo, che può essere reso “stare attenti” (Eb 12:15), e al sostantivo episkopè, che può essere reso “ispezione” (Lu 19:44, Kingdom Interlinear; 1Pt 2:12), “essere sorvegliante” (1Tm 3:1) o “incarico di sorveglianza” (At 1:20). Quindi epìskopos si riferisce a chi sorveglia i componenti della congregazione facendo visite, ispezionando e provvedendo guida. Un’idea fondamentale insita nel termine greco è quella di sorveglianza protettiva. Nella congregazione cristiana i sorveglianti hanno la responsabilità di curare la condizione spirituale dei loro fratelli. Qui Paolo chiama “sorveglianti” gli “anziani” della congregazione di Efeso (At 20:17). E nella sua lettera a Tito usa il termine “sorvegliante” quando descrive i requisiti degli “anziani” della congregazione cristiana (Tit 1:5, 7). Presbỳteros ed epìskopos si riferiscono quindi allo stesso ruolo: presbỳteros addita la maturità di colui che è nominato tale, mentre epìskopos i doveri attinenti all’incarico. Questo brano relativo all’incontro tra Paolo e gli anziani di Efeso mostra chiaramente che in quella congregazione c’era più di un anziano. Il numero di sorveglianti per ogni singola congregazione non era predeterminato: dipendeva da quanti uomini in una data congregazione erano spiritualmente maturi e quindi idonei come “anziani”. Inoltre, quando scrisse ai cristiani di Filippi, Paolo menzionò i “sorveglianti” locali (Flp 1:1), il che indica che a sorvegliare l’andamento di quella congregazione c’era un corpo composto da più persone. (Vedi approfondimento ad At 1:20.)

uno che [...] si attenga fermamente alla fedele parola Un anziano dimostra di attenersi alla parola di Dio con il suo modo di insegnare e di vivere. Quando insegna nella congregazione, si affida non alle sue idee, alla sua esperienza o alle sue capacità oratorie, ma “alla fedele parola”, o “al messaggio degno di fede”, che si trova nelle Scritture (1Co 4:6 e approfondimento). Così facendo arriva al cuore di chi lo ascolta e lo motiva ad amare e a servire Geova (Eb 4:12). Inoltre, vivendo in armonia con i princìpi biblici che insegna, evita qualsiasi traccia di ipocrisia. Attenendosi alla parola di Dio, aiuta la congregazione a rimanere unita così che sia “colonna e sostegno della verità”. (Vedi approfondimenti a 1Tm 3:2, 15.)

incoraggiare O “esortare”. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.)

insegnando loro Il verbo greco “insegnare” implica istruire, spiegare, argomentare in modo convincente e fornire prove a sostegno di ciò che si dice. (Vedi approfondimenti a Mt 3:1; 4:23.) Insegnare a qualcuno a osservare tutte le cose comandate da Gesù dovrebbe essere un processo continuo, che include insegnargli ciò che Gesù ha insegnato, aiutarlo ad applicarne gli insegnamenti e a seguirne l’esempio (Gv 13:17; Ef 4:21; 1Pt 2:21).

Il sorvegliante Qui Paolo usa il singolare del termine greco epìskopos preceduto dall’articolo determinativo, ma non intende dire che in ogni congregazione ci debba essere un unico sorvegliante. La congregazione di Filippi, per esempio, ne aveva più di uno. Quando scrisse una lettera ai cristiani di quella città, Paolo si rivolse alla congregazione “insieme ai sorveglianti e ai servitori di ministero”. (Vedi approfondimento a Flp 1:1; vedi anche approfondimento ad At 20:28.)

irreprensibile Il termine greco usato qui potrebbe anche essere reso “ineccepibile” o “inattaccabile”. Questo non vuol dire che un sorvegliante debba essere perfetto, ma significa che nessuno dovrebbe essere in grado di muovere un’accusa valida contro di lui. La sua condotta, il suo modo di comportarsi con gli altri e il suo stile di vita dovrebbero essere inattaccabili. Dev’essere un uomo che ha norme morali davvero elevate (2Co 6:3, 4; Tit 1:6, 7). Alcuni studiosi sostengono che tutti i requisiti che gli uomini cristiani devono soddisfare per essere nominati sorveglianti potrebbero essere racchiusi in quest’unica parola, “irreprensibile”.

marito di una sola moglie Gesù aveva già ripristinato la norma originale stabilita da Geova in relazione alla monogamia (Mt 19:4-6). Pertanto un sorvegliante cristiano non poteva essere poligamo, anche se la poligamia era concessa dalla Legge mosaica ed era comune tra chi non era cristiano. Altrettanto comune, anche tra gli ebrei, era divorziare e risposarsi. Gesù, però, aveva insegnato che, senza una base scritturale, il cristiano non poteva divorziare da sua moglie e sposarne un’altra (Mt 5:32; 19:9). Anche se queste norme si applicavano a tutti i cristiani, i sorveglianti e i servitori di ministero dovevano dare l’esempio (1Tm 3:12). Inoltre un sorvegliante sposato doveva essere fedele alla moglie e non doveva commettere immoralità sessuale (Eb 13:4).

moderato O “di abitudini moderate”. Stando a un lessico, alla lettera il termine greco usato qui si riferisce a una persona “sobria, equilibrata, che si astiene dal vino, evitandolo del tutto [...] o per lo meno non facendone un uso smodato”. Comunque assunse un significato più ampio e finì per descrivere una persona equilibrata, calma o che si sa controllare. Questo versetto indica che un sorvegliante cristiano deve essere moderato in tutti i campi della vita. Subito dopo, nel v. 3, Paolo fa un riferimento più esplicito all’abuso di alcolici.

assennato O “di mente sana”, “di buon senso”. Secondo un lessico, i termini greci solitamente resi “assennato” e “assennatezza” si riferiscono all’essere “prudenti, riflessivi ed equilibrati”. Una persona assennata mostra autocontrollo ed evita di emettere giudizi affrettati.

ordinato Lett. “regolato”. Un sorvegliante dovrebbe avere una vita dignitosa e ben organizzata. Il termine greco può anche riferirsi a una buona condotta. Quindi un uomo indisciplinato o disordinato non sarebbe idoneo a servire come sorvegliante (1Ts 5:14; 2Ts 3:6-12; Tit 1:10).

ospitale Tutti i cristiani devono essere ospitali (Eb 13:1, 2; 1Pt 4:9), ma chi è sorvegliante dovrebbe dare l’esempio al riguardo (Tit 1:8). Il termine greco reso “ospitalità” letteralmente significa “amore per gli estranei”. (Vedi approfondimento a Ro 12:13.) A proposito dell’aggettivo affine qui reso “ospitale”, alcuni lessici spiegano che si riferisce all’avere “riguardo per l’estraneo o il visitatore” e all’essere “generoso verso gli ospiti”. Parlando dell’atteggiamento che l’uomo ospitale manifesta, un’opera di consultazione dice che “le porte della sua casa e del suo cuore devono essere aperte agli estranei”. Quindi si dovrebbe mostrare ospitalità non solo alla propria stretta cerchia di amici, ma anche ad altri. Per esempio, i cristiani sono incoraggiati a mostrarla ai poveri o ai rappresentanti viaggianti delle congregazioni (Gc 2:14-16; 3Gv 5-8).

capace di insegnare Un sorvegliante dovrebbe essere un abile insegnante, che sappia trasmettere ai suoi compagni di fede le verità e i princìpi morali che si trovano nelle Scritture. Nella sua lettera a Tito, Paolo dice che il sorvegliante deve essere “uno che nella sua arte di insegnare si attenga fermamente alla fedele parola”; in questo modo riuscirà a incoraggiare, esortare e riprendere (Tit 1:5, 7, 9 e approfondimenti). Paolo usa l’espressione “capace di insegnare” anche nella sua seconda lettera a Timoteo, dove dice che “lo schiavo del Signore” deve essere “in grado di controllarsi [...], esortando con mitezza quelli che si oppongono” (2Tm 2:24, 25). Quindi un sorvegliante dovrebbe essere in grado di ragionare in modo convincente usando le Scritture, di dare validi consigli e di arrivare al cuore di chi lo ascolta. (Vedi approfondimento a Mt 28:20.) Deve studiare con attenzione la Parola di Dio così da poter insegnare ad altri che a loro volta studiano la Bibbia.

non [...] litigiosi Paolo desiderava che i cristiani non fossero aggressivi nei rapporti con gli altri, nemmeno con chi aveva autorità (Tit 3:1). Alla lettera, la parola greca qui presente può essere tradotta “non bellicosi”. Alcuni lessici la rendono con “pacifici”. Questa parola greca compare anche in 1Tm 3:3 nell’elenco dei requisiti per gli anziani.

linguaggio offensivo Qui Paolo usa un termine greco (blasfemìa) che viene spesso tradotto “bestemmia” quando indica una parola o frase irriverente verso Dio (Ri 13:6). In origine comunque il senso non era ristretto a quello di ingiurie rivolte a Dio. Il termine poteva anche riferirsi a espressioni cattive o diffamatorie contro esseri umani, e il contesto mostra che è proprio questo il senso con cui lo usa Paolo. (Vedi anche Ef 4:31.) Altre traduzioni usano rese come “calunnia”, “maldicenza” e “insulti”. Commentando questa parola, un’opera di consultazione dice: “Descrive il tentativo di sminuire qualcuno e farlo cadere in discredito o rovinargli la reputazione”.

ragionevolezza Il termine greco reso “ragionevolezza” ha un ampio significato; descrive chi è arrendevole, amabile o tollerante. È la qualità di chi non insiste perché la legge venga applicata alla lettera o di chi non rivendica i propri diritti. Una persona ragionevole è disposta ad adeguarsi alle circostanze, è gentile e tiene conto degli altri. La ragionevolezza di un cristiano dovrebbe essere visibile a tutti, ovvero anche a chi non fa parte della congregazione. Una traduzione biblica rende infatti così questa prima parte del versetto: “Abbiate la reputazione di essere ragionevoli”. Anche se tutti i cristiani si sforzano di manifestarla, la ragionevolezza è soprattutto un requisito per i sorveglianti nella congregazione (1Tm 3:3; Tit 3:2; Gc 3:17; vedi approfondimento a 2Co 10:1).

la benignità del Cristo Pur scrivendo ai cristiani di Corinto a proposito di alcune loro mancanze, Paolo non lo fa con durezza. Piuttosto, a imitazione di Cristo, si rivolge loro in modo mite e gentile. Il termine greco qui tradotto “benignità” significa alla lettera “arrendevolezza”, e potrebbe anche essere reso “ragionevolezza”. Questa è una delle qualità predominanti di Cristo Gesù. Quando era sulla terra, Gesù rifletté alla perfezione il supremo esempio di ragionevolezza di suo Padre (Gv 14:9). Anche Paolo manifestava questa qualità; infatti, benché i corinti avessero bisogno di energici consigli, qui li supplica con gentilezza invece di dare semplicemente degli ordini.

non violento Il termine greco qui reso “violento” alla lettera può riferirsi a qualcuno che colpisce fisicamente un altro. Comunque può avere un significato più ampio, e riferirsi anche a un bullo, a un prepotente. Una persona può bullizzare qualcuno usando parole taglienti o offensive che possono fare male come un colpo fisico, letterale. (Vedi approfondimento a Col 3:8.) Paolo spiegò che i cristiani dovrebbero essere gentili e miti, anche quando affrontano situazioni difficili. Questa norma ispirata è valida soprattutto per gli anziani. (Confronta 2Tm 2:24, 25.)

ragionevole Il significato del termine greco usato qui da Paolo è ampio e può anche trasmettere l’idea di una persona gentile, cortese o tollerante. (Vedi approfondimento a Flp 4:5.) Letteralmente significa “arrendevole”. Usando questa parola, però, Paolo non sta dicendo che un sorvegliante dovrebbe essere arrendevole o tollerante davanti a qualcosa di sbagliato né che dovrebbe scendere a compromessi riguardo alle norme divine. Piuttosto intende dire che, in questioni di gusto personale, un sorvegliante dovrebbe essere disposto a cedere e ad accettare il punto di vista degli altri. Non è rigido e non insiste sui suoi diritti o sul fare le cose come le ha sempre fatte. Al contrario, quando si tratta di opinioni personali, rispetta le preferenze altrui ed è pronto ad adattarsi alle circostanze che cambiano. Sostiene con fermezza le leggi e i princìpi biblici, ma cerca di mostrare gentilezza ed equilibrio nel metterli in pratica. La ragionevolezza è una sfaccettatura della sapienza divina e una caratteristica peculiare della personalità di Gesù Cristo (Gc 3:17; vedi approfondimento a 2Co 10:1). Inoltre è una qualità che dovrebbe contraddistinguere tutti i cristiani (Tit 3:1, 2).

non litigioso Vedi approfondimento a Tit 3:2.

non attaccato al denaro Chi è concentrato sull’accumulare beni materiali non può allo stesso tempo prestare la dovuta attenzione al pascere “il gregge di Dio” (1Pt 5:2). Chi si dedica alle cose materiali di questo mondo non può aiutare in modo concreto chi serve Dio a ottenere la vita eterna “nel sistema di cose futuro” (Lu 18:30). E non può essere incisivo quando insegna agli altri a “riporre la loro speranza [...] in Dio” mentre lui stesso confida “nelle ricchezze incerte” (1Tm 6:17). Perciò chi è “attaccato al denaro” non sarebbe idoneo a servire come sorvegliante. Quanto richiesto ai sorveglianti su questo argomento è in armonia con quello che la Bibbia consiglia a tutti i cristiani (Mt 6:24; 1Tm 6:10; Eb 13:5).

presiede O “dirige”. Il verbo greco qui usato (proìstemi) significa letteralmente “stare davanti” nel senso di dirigere, guidare, presiedere, interessarsi degli altri e averne cura.

aver cura Il verbo greco qui presente viene usato anche dall’evangelista Luca nella parabola del buon samaritano che “si prese cura” di un uomo caduto vittima di briganti (Lu 10:34, 35). Anche un sorvegliante dovrebbe “aver cura” in modo premuroso dei bisogni dei componenti della congregazione.

che diriga O “che presieda”. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.)

che diriga la propria casa in maniera eccellente Il significato del verbo “dirigere”, o “presiedere”, viene chiarito nel v. 5, dove Paolo paragona il modo in cui un marito dirige la famiglia al modo in cui un sorvegliante deve “aver cura della congregazione di Dio”. Il verbo lì reso “aver cura”, secondo un’opera di consultazione, “implica sia guida sia amorevole cura”. Quindi il contesto chiarisce che un marito e padre deve essere non un despota crudele o un dittatore, ma un uomo che con amore si interessa dei bisogni della propria famiglia. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:5.)

che abbia figli sottomessi e rispettosi Alcuni ritengono che il termine “sottomessi”, che in greco alla lettera è “in sottomissione”, si riferisca al padre, ma sembra più logico riferirlo ai figli. I figli cristiani si dimostrano “sottomessi e rispettosi” essendo ubbidienti ed educati. Si comportano in modo appropriato alla loro età e alle circostanze. La Bibbia indica che è normale che i bambini ridano e giochino (Lu 7:32; confronta Ec 3:4; Isa 11:8). In 1Co 13:11 Paolo riconobbe che quando era bambino parlava, pensava e ragionava “da bambino”. Quindi, qui in 1Tm 3:4, non intende dire che ci si dovrebbe aspettare che i bambini ragionino o si comportino come se fossero adulti.

aver cura Il verbo greco qui presente viene usato anche dall’evangelista Luca nella parabola del buon samaritano che “si prese cura” di un uomo caduto vittima di briganti (Lu 10:34, 35). Anche un sorvegliante dovrebbe “aver cura” in modo premuroso dei bisogni dei componenti della congregazione.

uno convertito di recente Paolo usa un termine greco che letteralmente significa “piantato di recente”. Qui l’espressione si riferisce figurativamente a qualcuno che da poco è diventato cristiano. (Confronta 1Co 3:6-8, dove Paolo paragonò l’attività che si compie nell’opera di fare discepoli a quella che si svolge quando si pianta.) In questo versetto Paolo fa capire chiaramente che un uomo che riceve la nomina di sorvegliante deve essere un cristiano maturo, non uno che ha abbracciato il cristianesimo da poco.

orgoglioso Vedi approfondimento a 2Tm 3:4.

e riceva la stessa condanna emessa contro il Diavolo Paolo menziona l’esempio negativo della creatura spirituale perfetta che diventò Satana il Diavolo. Anziché svolgere l’incarico che Dio gli aveva affidato, il Diavolo “[diventò] orgoglioso”. L’orgoglio e l’ambizione egoistica furono la causa della sua rovina e del conseguente giudizio che ricevette. In questo modo Paolo indica che deve passare un po’ di tempo prima che un uomo riceva autorità come sorvegliante nella congregazione cristiana, così che possa dimostrare di essere veramente umile. Un uomo umile segue l’esempio di Gesù, che non cercò mai ambiziosamente di avere più autorità (Flp 2:5-8; Eb 5:8-10).

pieni d’orgoglio Il termine originale è il participio di un verbo (tyfòomai) affine a un altro verbo che significa “affumicare”. Poteva essere usato per descrivere una persona avvolta o addirittura accecata dal fumo. Questo termine compare tre volte nelle Scritture Greche Cristiane, sempre in senso metaforico e a quanto pare per descrivere qualcuno accecato dall’orgoglio (1Tm 3:6; 6:4; 2Tm 3:4). Alcune traduzioni lo rendono con “presuntuosi”, “gonfi”, “accecati dalla superbia”. Secondo un commentario, descrive chi è “pieno di sé”. Giuseppe Flavio utilizzò questo termine per riferirsi ad alcuni autori greci che guardavano dall’alto in basso gli ebrei e li calunniavano.

cada in discredito e in una trappola del Diavolo Un cristiano che riceve la nomina di sorvegliante deve avere “una buona reputazione” agli occhi di chi non fa parte della congregazione. Se fosse nominato pur avendo una cattiva reputazione, getterebbe discredito su sé stesso, sulla congregazione e soprattutto su Geova. Inoltre correrebbe il rischio di cadere in una delle trappole del Diavolo, per esempio l’orgoglio o l’ambizione, che potrebbero portarlo a disubbidire a Dio (1Tm 3:6; 2Tm 2:26). Comunque, per come sono formulate nell’originale, le parole di Paolo potrebbero anche essere intese nel senso che il “discredito” faccia parte della “trappola” impiegata dal Diavolo. Satana sarebbe contentissimo di vedere la congregazione cristiana cadere in discredito a causa della cattiva reputazione di un sorvegliante.

servitore O “ministro”. La Bibbia usa spesso il termine greco diàkonos in riferimento a qualcuno che non si risparmia nel servire umilmente gli altri. Questo termine è usato per descrivere Cristo (Ro 15:8), i ministri o servitori cristiani (1Co 3:5-7; Col 1:23), i servitori di ministero (Flp 1:1; 1Tm 3:8), oppure i domestici (Gv 2:5, 9) e i funzionari governativi (Ro 13:4).

servitori di ministero O “aiutanti”. Il termine greco diàkonos, che letteralmente significa “servitore”, qui viene usato per indicare un incarico ufficiale, quello ricoperto dai “servitori di ministero” nominati all’interno della congregazione cristiana. Ricorre con un significato simile in 1Tm 3:8, 12. Il fatto che Paolo lo utilizzi al plurale lascia intendere che la congregazione aveva un certo numero di questi servitori che assistevano i sorveglianti svolgendo diversi compiti. Invece dei termini “sorveglianti” e “servitori di ministero”, in questo versetto alcune Bibbie usano “vescovi” e “diaconi”, titoli a cui la cristianità ricorre per dare l’impressione che tra i cristiani del I secolo ci fosse una gerarchia. Comunque, quando la traduzione di questi termini trasmette il senso con cui erano stati usati nell’originale, risulta chiaro che nella congregazione cristiana ricoprire incarichi di responsabilità non eleva nessuno al di sopra degli altri. Il traducente “servitori di ministero” mette in evidenza il servizio che questi uomini rendono alla congregazione con tanto impegno.

servitori di ministero O “aiutanti”. L’espressione traduce il sostantivo greco diàkonos, spesso reso “ministro” o “servitore”. In questo contesto si riferisce a coloro che venivano nominati per servire nella congregazione e assistere il corpo degli anziani. Sembra che i servitori di ministero dessero una mano con tante attività pratiche che assicuravano il buon andamento della congregazione. Questo alleggeriva gli anziani, che così potevano concentrarsi sull’insegnamento e sull’opera pastorale. (Vedi Glossario, “servitore di ministero”; approfondimento a Flp 1:1; vedi anche approfondimento a Mt 20:26.)

seri Il termine originale, che compare anche nel v. 11 e in Tit 2:2, potrebbe pure essere tradotto “degno di rispetto”, “dignitoso”, “onorevole”. Per soddisfare i requisiti previsti per i servitori di ministero, un uomo deve comportarsi in modo dignitoso, così da guadagnarsi il rispetto degli altri. Deve essere affidabile e prendere sul serio le sue responsabilità.

doppi nel parlare O “subdoli”. Lett. “doppi di parola”. Questa espressione traduce un termine che trasmette l’idea di qualcuno che non è sincero. Un uomo che riceve la nomina di servitore di ministero o di sorvegliante non deve essere ipocrita, ad esempio adulando gli altri oppure ingannandoli per tornaconto personale. Non deve neanche essere bugiardo, dicendo una cosa a una persona e l’opposto a un’altra (Pr 3:32; Gc 3:17). Deve invece dire la verità ed essere onesto, e quindi essere un uomo le cui parole sono degne di fiducia.

avidi di guadagni disonesti Stando a un lessico, il termine greco reso con questa espressione (che si trova anche in Tit 1:7) fondamentalmente descrive qualcuno “ignobilmente avido di profitti o di vantaggi economici”. (Confronta 1Tm 3:3; 1Pt 5:2.) Chi ama il denaro mette in pericolo l’amicizia che ha con Geova, e gli avidi non erediteranno il Regno di Dio (1Co 6:9, 10; 1Tm 6:9, 10). È chiaro che un avido non è idoneo a diventare sorvegliante o servitore di ministero, infatti è probabile che sfrutterebbe gli altri compagni di fede. Per esempio, a chi è nominato potrebbe essere affidata la gestione dei fondi della congregazione e la loro distribuzione a chi è nel bisogno. Ma se questa persona fosse “[avida] di guadagni disonesti” potrebbe essere tentata di rubare parte di questo denaro, danneggiando la congregazione e soprattutto offendendo Geova (Gv 12:4-6).

il sacro segreto della fede A quanto pare questa espressione si riferisce alle verità della fede cristiana. Queste verità sono rimaste segrete, o sconosciute, fino a quando Dio non le ha rivelate ai discepoli di suo Figlio. Si comprende, quindi, che un servitore di ministero non doveva limitarsi ad assistere gli anziani in modi pratici. Doveva anche sostenere con fermezza e lealtà la verità rivelata, avendo sia il desiderio che le capacità di difendere l’intero complesso di questi insegnamenti cristiani.

una coscienza pura Vedi approfondimento a Ro 2:15.

coscienza Il termine greco synèidesis è formato da syn (“con”) ed èidesis (“conoscenza”), e si potrebbe tradurre “conoscenza di sé”. Qui Paolo spiega che persino gli esseri umani che non conoscono le leggi di Dio hanno una coscienza, cioè la capacità di osservare sé stessi e giudicare il proprio comportamento. Tuttavia, solo una coscienza educata secondo la Parola di Dio e sensibile alla Sua volontà può giudicare in modo corretto. Le Scritture fanno capire che non tutte le coscienze funzionano come si deve: una persona può avere una coscienza debole (1Co 8:12), marchiata (1Tm 4:2) o contaminata (Tit 1:15). Parlando del modo in cui agiva la sua coscienza, Paolo dice: “La mia coscienza me ne dà testimonianza nello spirito santo” (Ro 9:1). L’obiettivo di Paolo era quello di “mantenere una coscienza pura davanti a Dio e agli uomini” (At 24:16).

Allo stesso modo, le donne devono Quando elenca i requisiti per gli uomini nominati, Paolo menziona qualità simili anche per le donne cristiane. Il sostantivo greco qui reso “donne” può riferirsi sia alle donne in generale che alle mogli (1Tm 3:2, 12). Pertanto quello che viene detto in questo versetto si applica a tutte le donne cristiane, soprattutto alle mogli di coloro a cui vengono affidate responsabilità nella congregazione.

marito di una sola moglie Gesù aveva già ripristinato la norma originale stabilita da Geova in relazione alla monogamia (Mt 19:4-6). Pertanto un sorvegliante cristiano non poteva essere poligamo, anche se la poligamia era concessa dalla Legge mosaica ed era comune tra chi non era cristiano. Altrettanto comune, anche tra gli ebrei, era divorziare e risposarsi. Gesù, però, aveva insegnato che, senza una base scritturale, il cristiano non poteva divorziare da sua moglie e sposarne un’altra (Mt 5:32; 19:9). Anche se queste norme si applicavano a tutti i cristiani, i sorveglianti e i servitori di ministero dovevano dare l’esempio (1Tm 3:12). Inoltre un sorvegliante sposato doveva essere fedele alla moglie e non doveva commettere immoralità sessuale (Eb 13:4).

che diriga la propria casa in maniera eccellente Il significato del verbo “dirigere”, o “presiedere”, viene chiarito nel v. 5, dove Paolo paragona il modo in cui un marito dirige la famiglia al modo in cui un sorvegliante deve “aver cura della congregazione di Dio”. Il verbo lì reso “aver cura”, secondo un’opera di consultazione, “implica sia guida sia amorevole cura”. Quindi il contesto chiarisce che un marito e padre deve essere non un despota crudele o un dittatore, ma un uomo che con amore si interessa dei bisogni della propria famiglia. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:5.)

mariti di una sola moglie Vedi approfondimento a 1Tm 3:2.

dirigano in maniera eccellente Vedi approfondimento a 1Tm 3:4.

franchezza Il termine greco parresìa significa fondamentalmente “coraggio nel parlare”. In pratica Paolo dice ai corinti di essere nella condizione di parlare loro con grande libertà di parola. (Vedi approfondimento ad At 28:31.)

grande libertà di parola Vedi approfondimento a 2Co 7:4.

colonne Proprio come una colonna letterale funge da sostegno per una struttura, gli uomini qui metaforicamente descritti come colonne sostenevano e rafforzavano la congregazione. Il termine greco originale è usato anche in riferimento alla congregazione cristiana, definita “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3:15), e in riferimento alle gambe di un angelo, descritte come “colonne di fuoco” (Ri 10:1-3). Giacomo, Cefa e Giovanni erano considerati colonne perché con la loro stabilità, la loro forte spiritualità e la loro affidabilità davano sostegno alla congregazione.

quelli che appartengono alla nostra famiglia della fede L’espressione greca resa “quelli che appartengono alla nostra famiglia” si riferisce ai componenti di una casa, di una famiglia vera e propria (1Tm 5:8). In epoca classica il termine che compare nell’originale poteva riferirsi a un gruppo di persone molto unito che condivideva idee, convinzioni e obiettivi. Questo era il caso delle congregazioni del I secolo, i cui componenti di solito si incontravano in case private (Ro 16:3-5) ed erano uniti da un forte legame spirituale (Ef 2:19).

membri della casa di Dio Con l’espressione “membri della casa” Paolo sottolinea come gli unti che componevano la congregazione cristiana formavano un unito nucleo familiare (1Tm 3:15). In una famiglia devota tutti i componenti rispettano il capofamiglia come pure le sue decisioni e le regole da lui stabilite; in modo simile, i componenti delle congregazioni del I secolo erano uniti da un forte legame spirituale e rispettavano le disposizioni di Geova. (Vedi approfondimento a Gal 6:10.)

casa di Dio Paolo chiama “casa di Dio” l’intera congregazione dei cristiani unti. Questa metafora ricorre diverse volte nelle Scritture Greche Cristiane. (Vedi approfondimenti a Gal 6:10; Ef 2:19.) Trasmette l’idea che i cristiani formano un nucleo familiare unito in cui regna una piacevole atmosfera, simile a quella che si respira in una famiglia.

Iddio vivente L’espressione usata qui da Paolo ricorre spesso nelle Scritture Ebraiche (De 5:26; 1Sa 17:26, 36; Isa 37:4, 17). In questo contesto serve a creare un contrasto tra Geova, l’“Iddio vivente”, e gli idoli inanimati che i pagani di Efeso e di altre località adoravano. Paolo può averla usata anche per ricordare ai cristiani la superiorità del loro modo di adorare.

colonna e sostegno della verità Per descrivere la congregazione dei cristiani unti, e per estensione l’intera congregazione cristiana, Paolo usa in senso figurato due termini architettonici. Ai suoi giorni, le colonne erano elementi strutturali robusti presenti in tanti grandi edifici; spesso servivano a sorreggere pesanti tetti. Paolo poteva avere in mente il tempio di Gerusalemme oppure alcuni imponenti edifici di Efeso, dove Timoteo viveva a quel tempo. (Il termine “colonne” compare anche in Gal 2:9. Vedi approfondimento.) Qui in 1Tm 3:15 Paolo descrive l’intera congregazione cristiana come una simbolica colonna che sostiene la verità. Il termine greco per “sostegno” si riferisce a “ciò che provvede una solida base a qualcosa”. Potrebbe anche essere tradotto “fondamento”, “appoggio” o “terrapieno di supporto”. Paolo usa insieme sia il termine “colonna” che “sostegno” per mettere in evidenza che la congregazione doveva sostenere e difendere le sacre verità della Parola di Dio. Soprattutto a chi è stato affidato l’incarico di sorvegliante nella congregazione è richiesto che sia “capace di maneggiare correttamente la parola della verità” (2Tm 2:15). Per Paolo questa era una questione urgente; voleva che Timoteo facesse tutto quello che poteva per rafforzare la congregazione prima che prendesse piede la grande apostasia.

il sacro segreto di questa devozione a Dio Questo è l’unico punto nelle Scritture in cui le due espressioni “sacro segreto” e “devozione a Dio” compaiono insieme. (Vedi approfondimenti a Mt 13:11; 1Tm 4:7.) Paolo qui si concentra sul sacro segreto che ha a che fare con il seguente quesito: esiste un essere umano in grado di mostrare devozione a Dio in modo perfetto per tutta la vita? Quando egoisticamente si ribellò a Geova nell’Eden, Adamo dimostrò di non esserci riuscito. Perciò questa domanda risultò essere particolarmente significativa per i suoi discendenti. Per circa 4.000 anni la risposta continuò a essere un mistero, o un segreto. Essendo imperfetti, nessuno dei discendenti di Adamo ed Eva poteva essere perfettamente integro (Sl 51:5; Ec 7:20; Ro 3:23). Ma Gesù, un uomo perfetto come Adamo, fu devoto a Dio in ogni pensiero, parola e azione, perfino nelle prove più difficili (Eb 4:15; vedi approfondimento a 1Co 15:45). Il suo attaccamento per Geova si poggiava su un amore altruistico e sincero. Lasciando un esempio di perfetta devozione a Dio, Gesù diede la risposta definitiva a questo sacro segreto.

devozione a Dio Per una trattazione dell’espressione “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7; vedi anche approfondimento a 1Tm 2:2.

‘Fu [...] nella gloria’ Basandosi sulla struttura, sul ritmo e sul parallelismo del testo greco originale, alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che le frasi racchiuse dalle virgolette potrebbero essere tratte da un detto molto conosciuto o forse da un canto diffuso tra i cristiani del I secolo. (Confronta approfondimento a Ef 5:19.)

Fu reso manifesto nella carne Questa espressione si applica a Gesù, a quanto pare dal momento in cui fu battezzato nel Giordano. (Vedi approfondimento a Mt 3:17.) Fu allora che Gesù di Nazaret diventò l’Unto di Geova, o Messia. Pur essendo stato creato nei cieli, Gesù fu un essere umano perfetto, fatto di carne e ossa, e spesso parlò di sé come del “Figlio dell’uomo” (Mt 8:20; vedi Glossario, “Figlio dell’uomo”).

fu dichiarato giusto nello spirito Questa espressione si riferisce a quando Geova riportò in vita suo Figlio risuscitandolo come spirito (1Pt 3:18). Dopo averlo risuscitato, Geova concesse a Gesù la vita immortale (Ro 6:9; 1Tm 6:16). In questo modo confermò che Gesù aveva dimostrato di essere giusto sotto ogni aspetto. (Vedi approfondimento a Ro 1:4.)

apparve ad angeli Dopo essere stato risuscitato, Gesù apparve agli angeli infedeli, o demòni, e pronunciò il giudizio emesso da Dio nei loro confronti (1Pt 3:18-20). Questi angeli, che si ribellarono ai giorni di Noè, si trovano ora in legami simbolici e in una condizione di profonde tenebre spirituali, e a quanto pare non possono più materializzarsi (2Pt 2:4; Gda 6).

fu predicato fra le nazioni Dopo la Pentecoste del 33 i cristiani iniziarono a predicare a ebrei e proseliti circoncisi, compresi quelli che vivevano in altre nazioni (At 2:5-11). Successivamente il messaggio fu portato anche ai samaritani (At 8:5-17, 25). Poi, nel 36, Pietro predicò a Cornelio e ad altri non ebrei incirconcisi che si erano riuniti in casa di quest’ultimo (At 10:24, 34-43). Paolo, Timoteo e altri missionari in seguito dichiararono la buona notizia in Asia Minore e in Europa (At 16:10-12). Intorno al 60-61, parlando della buona notizia, Paolo poté scrivere: “È stata predicata in tutta la creazione che è sotto il cielo” (Col 1:23 e approfondimento; vedi anche At 17:6; Ro 1:8, 24, 28; Col 1:6; App. B13 e Galleria multimediale, “Pentecoste del 33 e diffusione della buona notizia”).

fu creduto nel mondo I cristiani del I secolo portarono la buona notizia su Gesù “fino ai confini del mondo”. (Vedi approfondimento ad At 1:8.) Di conseguenza in varie parti della terra molti diventarono cristiani. Per esempio, nel libro degli Atti, si legge di nuovi credenti ad Antiochia di Pisidia, a Listra e Iconio (At 13:48; 14:21, 23), Filippi (At 16:12, 33, 34), Tessalonica (At 17:1, 4), Berea (At 17:10-12), Atene (At 17:16, 34) ed Efeso (At 19:17-20).

fu ricevuto in cielo nella gloria Qui Paolo si riferisce all’ascensione di Gesù (At 1:9, 10). Geova mise Gesù alla propria destra, dandogli più gloria di qualunque altra creatura nell’universo (Mt 28:18; Gv 17:5; Flp 2:9; Eb 1:3, 4).

fino alla più distante parte della terra O “fino ai confini [o “estremità”] del mondo”. La stessa espressione greca si trova in At 13:47. Lì viene citata la profezia di Isa 49:6, dove anche la Settanta usa gli stessi termini. L’affermazione di Gesù in At 1:8 potrebbe essere un richiamo a quella profezia, in base alla quale il servitore di Geova sarebbe stato “luce delle nazioni” affinché la salvezza raggiungesse “i confini della terra”. Questo è in armonia con una precedente affermazione di Gesù secondo la quale i suoi discepoli avrebbero compiuto “opere più grandi” delle sue. (Vedi approfondimento a Gv 14:12.) L’affermazione presente in At 1:8 si addice anche alla descrizione che Gesù aveva fatto della portata mondiale dell’opera di predicazione dei cristiani. (Vedi approfondimenti a Mt 24:14; 26:13; 28:19.)

è stata predicata in tutta la creazione che è sotto il cielo Paolo non stava dicendo che la buona notizia avesse letteralmente raggiunto ogni singolo paese intorno al globo. Stava piuttosto descrivendo a grandi linee quanto fosse arrivata lontano la predicazione (Ro 1:8; Col 1:6). All’epoca in cui scrisse la lettera ai Colossesi, il messaggio del Regno era ampiamente conosciuto in tutto l’impero romano e oltre. In effetti, una trentina di anni prima, giudei e proseliti che avevano accettato il cristianesimo alla Pentecoste del 33 avevano poi portato il messaggio almeno fino in luoghi come Partia, Elam, Media, Mesopotamia, Arabia, Asia Minore, in alcune zone della Libia vicino a Cirene e a Roma, abbracciando il mondo conosciuto dai lettori di Paolo (At 2:1, 8-11, 41, 42). Comunque Paolo stesso, con quello che disse nel capitolo 15 di Romani, mostrò che le sue parole non andavano intese in senso letterale. Lì infatti disse che la buona notizia non era stata ancora predicata in quelli che all’epoca erano i “territori inesplorati” della Spagna (Ro 15:20, 23, 24).

fu dichiarato O “fu costituito”, “fu stabilito”. Qui Paolo dice che Gesù fu dichiarato Figlio di Dio tramite la risurrezione dai morti. In At 13:33 Paolo spiegò che la risurrezione di Gesù adempiva ciò che era scritto in Sl 2:7. Questo versetto si adempì anche al battesimo di Gesù quando suo Padre dichiarò: “Questo è mio Figlio”. (Vedi approfondimento a Mt 3:17.)

Questo è mio Figlio In qualità di creatura spirituale, Gesù era il Figlio di Dio (Gv 3:16). In qualità di essere umano, dalla nascita Gesù era un “figlio di Dio” come lo era stato Adamo prima di peccare (Lu 1:35; 3:38). Sembra comunque ragionevole concludere che con queste parole Dio non stava semplicemente rivelando l’identità di Gesù. Con tale dichiarazione, accompagnata dal versamento dello spirito santo, Dio stava evidentemente indicando che Gesù era suo Figlio generato dallo spirito, ‘nato di nuovo’ con la speranza di tornare a vivere in cielo e unto con lo spirito per essere il Re e Sommo Sacerdote che lui aveva scelto (Gv 3:3-6; 6:51; confronta Lu 1:31-33; Eb 2:17; 5:1, 4-10; 7:1-3).

salmi, inni e canti spirituali I salmi ispirati, intonati per lodare Geova, erano ancora in uso tra i primi cristiani. Il termine greco reso “salmi” (psalmòs), usato anche in Lu 20:42; 24:44 e At 13:33, si riferisce ai salmi delle Scritture Ebraiche. Oltre a questi sembra che ci fossero anche componimenti di epoca cristiana: “inni”, ovvero lodi a Dio, e “canti spirituali”, ovvero canti incentrati su temi spirituali. Nella sua lettera ai Colossesi, Paolo dice che i cristiani insegnano e si incoraggiano gli uni gli altri “con salmi, inni e canti spirituali” (Col 3:16).

devozione a Dio O “santa devozione”. Il termine greco usato qui, eusèbeia, fa riferimento a un senso di riverenza e di profondo rispetto nei confronti di Dio; per questo motivo la parola “Dio”, anche se non compare nel termine originale, è stata esplicitata. (Per una trattazione del termine greco reso “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Questo stesso termine a volte viene usato anche nella Settanta. Per esempio compare in Isa 11:2 e 33:6, dove il testo ebraico usa l’espressione “timore di Geova”, che si riferisce ugualmente a profondo rispetto per Geova Dio. Quando nel V secolo fu realizzata la Pescitta, traduzione della Bibbia in siriaco, in 1Tm 2:2 il termine greco eusèbeia fu reso “riverenza verso Dio”, con l’esplicitazione della parola “Dio”. Sulla stessa falsariga, alcune successive traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane hanno reso eusèbeia con “timore di Geova” sia in questo versetto sia in altri dove compare il termine (1Tm 3:16; 4:7, 8; 6:3, 6, 11). Comunque, il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo ha ritenuto che non ci fossero sufficienti ragioni a sostegno del ripristino del nome divino nel testo principale di questo versetto. (Per altre ragioni prese in considerazione nel valutare se ripristinare il nome divino in altri versetti, vedi App. C; confronta approfondimento a Ro 10:12.)

devozione a Dio Il termine greco eusèbeia trasmette l’idea di profonda riverenza e rispetto che un cristiano esprime a Dio servendolo lealmente e ubbidendogli in modo completo. Ha un significato ampio, infatti fa anche pensare a quell’amore leale o a quell’attaccamento verso Dio che spinge una persona a cercare di fare ciò che piace a lui. Un lessico riassume così il significato generale di questo termine: “vivere come Dio vuole che viviamo”. Paolo fa anche capire che la devozione a Dio non è una caratteristica innata. È per questo motivo che esorta Timoteo a darsi da fare per rafforzare questa qualità, esercitandosi, o allenandosi, come fa un atleta. Poco prima nella lettera, Paolo gli ha ricordato che Gesù Cristo ha lasciato l’esempio più incisivo di devozione a Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:16.)

Il primo uomo, Adamo [...] L’ultimo Adamo Nella prima parte del versetto Paolo cita Gen 2:7 (“l’uomo diventò un essere vivente”), ma aggiunge le parole “primo” e “Adamo”. Nella seconda parte del versetto chiama Gesù “l’ultimo Adamo”. Poi in 1Co 15:47 chiama Adamo “il primo uomo” e Gesù “il secondo uomo”. Il primo Adamo disubbidì al Padre, colui che gli aveva dato la vita; l’ultimo Adamo gli mostrò assoluta ubbidienza. Il primo Adamo trasmise ai suoi discendenti il peccato; l’ultimo Adamo diede la sua vita umana come sacrificio di espiazione per i peccati (Ro 5:12, 18, 19). Geova poi riportò in vita Gesù come spirito (1Pt 3:18). Visto che Gesù, come Adamo, era un uomo perfetto, Geova coerentemente con i suoi stessi princìpi di giustizia ne poté accettare il sacrificio “come riscatto corrispondente” per ricomprare i discendenti di Adamo; questo sacrificio di riscatto avrebbe ridato agli esseri umani le stesse prospettive di vita che il primo Adamo aveva perso (1Tm 2:5, 6). Pertanto Gesù poteva giustamente essere definito “l’ultimo Adamo”, a indicare che dopo di lui non ci sarebbe stato bisogno di un altro Adamo. (Confronta approfondimenti a Lu 3:38; Ro 5:14.)

devozione a Dio Il termine greco eusèbeia trasmette l’idea di profonda riverenza e rispetto che un cristiano esprime a Dio servendolo lealmente e ubbidendogli in modo completo. Ha un significato ampio, infatti fa anche pensare a quell’amore leale o a quell’attaccamento verso Dio che spinge una persona a cercare di fare ciò che piace a lui. Un lessico riassume così il significato generale di questo termine: “vivere come Dio vuole che viviamo”. Paolo fa anche capire che la devozione a Dio non è una caratteristica innata. È per questo motivo che esorta Timoteo a darsi da fare per rafforzare questa qualità, esercitandosi, o allenandosi, come fa un atleta. Poco prima nella lettera, Paolo gli ha ricordato che Gesù Cristo ha lasciato l’esempio più incisivo di devozione a Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:16.)

sacri segreti Nella Traduzione del Nuovo Mondo il termine greco mystèrion è reso 25 volte con l’espressione “sacro segreto”. Qui è al plurale e si riferisce agli aspetti del proposito di Dio che non vengono rivelati finché lui non decide di renderli noti. A quel punto vengono pienamente svelati soltanto a coloro che sono stati scelti perché li comprendano (Col 1:25, 26). Una volta rivelati, i sacri segreti di Dio vengono diffusi nella maniera più ampia possibile. Lo si può capire dal fatto che al “sacro segreto” la Bibbia associa termini o espressioni come “annunciare”, “far conoscere”, “predicare pienamente”, “rivelare” (1Co 2:1; Ef 1:9; 3:3; Col 1:25, 26; 4:3). Il principale “sacro segreto di Dio” si concentra sull’identificazione della “discendenza” promessa, il Messia (Col 2:2; Gen 3:15). Questo sacro segreto, comunque, ha più sfaccettature e include il ruolo affidato a Gesù nel proposito di Dio (Col 4:3). Come mostrò Gesù in questa occasione, i “sacri segreti” hanno a che fare con il Regno dei cieli, o “Regno di Dio”, il governo celeste in cui Gesù ricopre il ruolo di Re (Mr 4:11; Lu 8:10; vedi approfondimento a Mt 3:2). Nelle Scritture Greche Cristiane si fa un uso del termine mystèrion diverso da quello comune alle antiche religioni misteriche. Queste religioni, spesso incentrate sui culti della fertilità che nel I secolo avevano ampia diffusione, promettevano che tramite rituali mistici i loro adepti avrebbero ottenuto l’immortalità, la rivelazione diretta e la comunione con le divinità. È chiaro che il contenuto di quei segreti non si basava sulla verità. Gli iniziati alle religioni misteriche facevano voto di tenere per sé i segreti, lasciandoli avvolti in un alone di mistero, il che era in netto contrasto con la proclamazione dei sacri segreti che avveniva nel cristianesimo. Quando nelle Scritture è usato in relazione alla falsa adorazione, mystèrion è reso “mistero” nella Traduzione del Nuovo Mondo (2Ts 2:7; Ri 17:5, 7).

Galleria multimediale

Timoteo e gli anziani di Efeso
Timoteo e gli anziani di Efeso

Mentre serve come anziano a Efeso, Timoteo riceve una lettera dall’apostolo Paolo (1Tm 1:3). Senza dubbio questa lettera ispirata è di grande utilità sia a Timoteo che agli altri anziani. Paolo vi elenca i requisiti che gli uomini devono soddisfare per servire come anziani o servitori di ministero nella congregazione cristiana (At 20:17, 28; 1Tm 3:1-10, 12, 13). Incoraggia Timoteo a diventare un esempio per i compagni di fede e ad applicarsi “alla lettura pubblica, all’esortazione e all’insegnamento” (1Tm 4:12, 13). Gli ricorda inoltre di non trascurare lo speciale dono, o incarico, che “il corpo degli anziani” gli aveva dato (1Tm 4:14).

“Fu reso manifesto nella carne”
“Fu reso manifesto nella carne”

Nell’immagine si vede una pagina del codice Sinaitico, un manoscritto su pergamena che risale al IV secolo. L’ingrandimento contiene la parte di 1Tm 3:16 che in diverse Bibbie è stata tradotta “egli fu manifestato in carne” o con altre espressioni simili. Comunque, come si può vedere dall’immagine, nel testo originale, sopra la parola resa “egli” furono aggiunte due lettere in modo da comporre la parola Theòs, ovvero “Dio”. (Questa aggiunta venne fatta successivamente, forse nel XII secolo.) Un cambiamento simile si riscontra anche in qualche altro manoscritto antico. Per questi motivi ci sono versioni della Bibbia che qui traducono “Iddio [o “Dio”] è stato manifestato in carne” (Diodati; La Nuova Diodati), come se fu Dio stesso ad apparire come uomo in carne e ossa. Secondo alcune opere di consultazione, però, manoscritti greci precedenti all’VIII o al IX secolo non giustificano questa lezione. (Vedi per esempio A Textual Guide to the Greek New Testament, a cura di Roger L. Omanson.) Quindi un attento esame dei manoscritti antichi permette agli studiosi di scoprire le poche lezioni non corrette che furono introdotte nei manoscritti successivi. (Vedi App. A3, e Glossario, “codice Sinaitico”.)